Vignerons d’Europe

I viticoltori sono preoccupati per una situazione di mercato che continua, malgrado qualche segno di ripresa, a essere pesante, e per una prospettiva di riforma del sistema degli aiuti economici al settore che a molti è sembrata inaccettabile, in quanto, contraddicendo le sue stesse enunciazioni di principio, pare orientata alla difesa degli interessi dell’industria assai più che a quella dei vignaioli.
Tratto da Slowfood 25. L'articolo è di Maurigio Gily.
A Torino si sono incontrati, in occasione di Terra Madre, una sessantina di viticoltori europei, sotto il titolo “Per un’Europa dei vignerons” allo scopo di avviare una riflessione collettiva sul futuro del vino e della loro professione, alla luce della proposta di riforma del mercato comune presentata dal commissario per l’agricoltura Mariann Fischer Boel in una bozza intitolata “Verso un settore vitivinicolo sostenibile in Europa”. I viticoltori sono preoccupati e decisi a portare, numerosi, la loro preoccupazione in piazza alla prossima Origines du Goût di Montpellier, dal 13 al 16 aprile. A destare allarme sono una situazione di mercato che continua, malgrado qualche segno di ripresa, a essere pesante, e una prospettiva di riforma del sistema degli aiuti economici al settore che a tutti gli intervenuti è sembrata inaccettabile, in quanto, contraddicendo le sue stesse enunciazioni di principio, pare orientata alla difesa degli interessi dell’industria assai più che a quella dei vignaioli.
La bozza Ue
La commissaria sostiene che il modello attuale è insostenibile, ma il concetto di sostenibilità si riferisce qui solo agli aspetti economici, quindi di equilibrio domanda-offerta. Mezzo miliardo di euro è speso ogni anno per interventi sul mercato volti soprattutto a smaltire un vasto surplus di offerta. Si deve andare verso un mercato in equilibrio, investire i soldi (gli stessi soldi, secondo la commissaria, che non propone un taglio di risorse) per aumentare la domanda attraverso una forte comunicazione e ridurre l’offerta estirpando vigneti e diminuendo la produzione, al fine di portare il settore, nel medio-lungo periodo, a un mercato sempre più libero. Fischer Boel sostiene anche che le norme di designazione ed etichettatura sono troppo complicate per affrontare un mercato mondiale in cui le uniche aree di espansione della domanda sono paesi che hanno una scarsa cultura del vino e una conoscenza approssimativa della geografia europea. C’è bisogno, pertanto, di messaggi semplici come quelli proposti dai concorrenti del Nuovo Mondo: il nome del vitigno in luogo dell’origine. I vini a denominazione geografica rimarrebbero quindi a presidiare il solo segmento alto del mercato. Passiamo in rassegna i principali interventi proposti.
Freno all’arricchimento
Premessa: oggi il vino si può arricchire con zucchero nel Nord Europa, e con mosto concentrato rettificato, cioè zucchero prodotto dall’uva, nel Sud, di cui l’Italia fa parte. Il mosto concentrato ha prezzi di mercato superiori allo zucchero, ma le cantine ricevono un contributo per equipararlo. In teoria l’arricchimento andrebbe autorizzato solo in annate sfavorevoli, ma questo non spiega perché sia stato consentito nel 2003, l’annata più calda degli ultimi 150 anni. Secondo la nuova proposta rimarrebbe invece consentito il solo mosto concentrato rettificato, ma da acquistare senza aiuti a prezzo di mercato, e con aumento massimo di un grado alcolico per il Sud Europa e di 2 gradi per il Nord. Oggi i limiti sono più alti. Questo ridurrebbe molto la convenienza di questa pratica, scongiurandone l’abuso che se ne fa oggi a spese della collettività, spingendo i viticoltori meno sensibili a “fare il grado” nel vigneto, migliorando la tecnica e magari riducendo la produzione.
Questa è l’unica proposta che i vignaioli di eccellenza sembrano pronti a sottoscrivere. Alcuni, come Marc Parcé, si spingono a dire che per i vini di terroir, cioè a denominazione d’origine, lo zuccheraggio, sotto qualunque forma, deve essere proibito e basta. In verità la proposta Fischer Boel si scontra sia con veti provenienti dal Nord, da parte di chi vuole continuare a usare lo zucchero, sia dal Sud, perché arricchire a basso costo è assai utile a chi produce vini di qualità corrente e basso prezzo.
Abbandono di ogni forma di sostegno al mercato
Questa parte del provvedimento va letta come distillazione di crisi e, come già detto, aiuti all’arricchimento e allo stoccaggio. I vigneron sostanzialmente concordano sulla fine della distillazione agevolata come è concepita oggi, cioè, troppo spesso, per realizzare comunque un reddito da produzioni che non hanno mercato. Alcuni ritengono, però, che le crisi nel vino siano periodiche e inevitabili, quindi vorrebbero che questa forma di ritiro dal mercato fosse più limitata e sottoposta a maggiori controlli, ma ancora prevista come misura eccezionale.

Espianto con aiuti di 400 000 ettari di vigneto
Il progetto di espianto dovrebbe essere applicato in Europa, il più presto possibile, e prevede misure di prepensionamento per gli agricoltori. Si tratta di misure già attuate in passato, con risultati dubbi e talvolta assurdi, laddove si sono estirpati vigneti di collina ad alta vocazione qualitativa e bassa produttività, mentre sono rimasti vigneti ad alte produzioni magari destinate alla distillazione. Questa proposta è quella che ha sollevato le più alte critiche in Europa e in Italia. I vigneron di Terra Madre hanno sottolineato soprattutto il fatto che, se si estirpano vigneti con aiuti, devono coincidere con quelli che hanno prodotto solo per la distillazione o hanno beneficiato di altri aiuti di mercato (arricchimento).
Superamento, dal 2013, del divieto di nuovi impianti
In Europa attualmente, salvo alcune deroghe limitate e legate ai giovani agricoltori, non è possibile realizzare nuovi vigneti, ma solo sostituire quelli vecchi. Questo blocco opera da circa 25 anni ed è stato concepito per non aumentare l’offerta di vino sul mercato e difendere così il reddito dei produttori. È ovvio che i paesi extraeuropei abbiano approfittato di questa fase per espandere la loro viticoltura ed è altrettanto chiaro che le aziende più forti hanno potuto aggirare il blocco acquistando i “diritti” (il viticoltore che toglie un vigneto senza rinnovarlo può vendere questo “diritto” a terzi). Il blocco dei nuovi vigneti è una legge dura, con pro e contro, che ha sempre sollevato notevoli perplessità e dibattiti. Anche oggi i viticoltori si dividono. L’opinione prevalente sembra quella di spostare questa forma di controllo dell’offerta all’interno delle singole doc, assegnando questo ruolo ai consorzi di tutela o in generale agli organismi di rappresentanza dei produttori. In pratica uno può piantare cosa vuole ma non è obbligatorio concedergli poi l’iscrizione alla doc o docg, se il terreno non è vocato o se il vino è poco richiesto dal mercato.
Uniformazione delle pratiche enologiche a quanto previsto dal codice Oiv
L’Oiv è la cosiddetta Onu del vino, formata da tecnici, che stabilisce in linea di principio quali pratiche siano “oneste” e quali no. Un precedente a tutti noto e, a modesto avviso di chi scrive, malamente enfatizzato, è quello dell’uso dei cosiddetti trucioli. L’Oiv ha dato il nulla osta e la Ue si è affrettata ad ammetterli. Vale il principio che Stati, Regioni e organismi interprofessionali di gestione delle denominazioni (consorzi) possano adottare regole più restrittive. Tanto che in Italia i trucioli sono vietati per i vini a doc e docg per decreto ministeriale. Su questo tema ci sono posizioni diverse. Molti sostengono la n unecessità di un’adeguata informazione del consumatore attraverso una lista degli ingredienti. Secondo Marc Parcé di Séve la normativa per i vini di terroir, a denominazione d’origine, deve distinguersi radicalmente da quella dei vini da tavola, escludendo tutto ciò che non fa parte, appunto, del terroir – arricchimento, trucioli, enzimi, lieviti selezionati altrove, eccetera –, mentre per gli altri vini sarebbe sbagliato porre troppi vincoli: i produttori devono avere libertà di fare in Europa ciò che si fa nel resto del mondo.
Semplificazione della normativa sulla designazione dei vini
Si arriverebbe, in pratica, a due sole categorie: vini con indicazione di origine geografica e senza tale indicazione. Si prospetta l’apertura a indicazioni oggi vietate in etichetta sui vini da tavola: annata e vitigno. Si rileva come criticità europea la proliferazione eccessiva delle denominazioni, e si sottolinea il vantaggio competitivo del Nuovo Mondo sul piano della semplificazione dei messaggi. È uno dei passaggi chiave e forse il più pericoloso. In questo modo sarebbe infatti possibile – se non capiamo o pensiamo male, ma l’olio di oliva insegna che pensar male è bene – produrre vini da mosti importati, anche da fuori Europa, chiamarli ad esempio Nebbiolo e metterci anche l’annata, e aggiungere, infine, “prodotto in Italia” o “nell’Unione Europea”! Se il problema della dispersione in troppe denominazioni è reale e sentito da tutti (meno che da alcuni sindaci e politici locali, instancabili propugnatori di nuove quanto inutili denominazioni) questo rimedio sembra largamente peggiore del male.
Sostanziale conferma del pacchetto finanziario per il settore
I finanziamenti, però, sarebbero indirizzati in modo del tutto diverso. In primis a operazioni di comunicazione, promozione e valorizzazione sui mercati mondiali dei vini europei; in parte a misure strutturali per migliorare la competitività delle imprese; per niente a interventi diretti sul mercato come distillazione e aiuti all’arricchimento, considerati superati.
In conclusione, il testo contiene alcune analisi corrette, ma le soluzioni sembrano confezionate su misura per le esigenze dell’industria e in buona parte contro quelle dei viticoltori. Eppure la prerogativa dell’Europa, rispetto ai paesi concorrenti, è proprio la forte presenza degli agricoltori lungo tutta la filiera del vino. Si argomenta che l’espulsione di contadini dalla terra con i premi all’estirpazione e al prepensionamento possa migliorare i risultati economici di chi resta con un aumento del valore delle uve: ma in realtà tale obiettivo sarebbe vanificato dall’importazione di vino dall’estero, addirittura riciclato come vino europeo. Quindi il rischio paventato di perdita di peso dell’Europa è incoraggiato anziché essere allontanato da queste misure. Occorre, in generale, focalizzare il ragionamento sull’agricoltore e non sul mercato. L’equilibrio del mercato non è un fine ma un mezzo, il fine è la permanenza del viticoltore sul territorio.
L'impaginato dell'articolo lo trovate qui.
Visitate anche il sito dei vignerons d'Europe.
Etichette: Slowfood 25, Slowine, vignerons


Terroir, denominazioni e vigneron saranno ancora gli elementi chiave nel futuro della viticoltura europea, i marcatori che manterranno i nostri vini irriproducibili, non replicabili, unici. Ciò non significa che queste nozioni non debbano essere rivisitate criticamente, che non sia necessario ripensarle e aggiornarle.
Sabato 23 dicembre, al tramonto, una barca di pescatori è salpata dal porto di Comacchio verso il largo, fuori delle Valli. Sulla barca il presidente del Parco del Delta del Po, Valter Zago, il sottosegretario del Ministero dell’Agricoltura Guido Tampieri, il presidente di Slow Food Emilia, Alberto Fabbri, il professor Stefano Cataudella, membro del comitato scientifico di Slow Fish, e altre personalità scientifiche e istituzionali. Il gruppo non andava a celebrare in mare la vigilia di Natale, ma a compiere un gesto fortemente simbolico: liberare in acque aperte 200 chili di anguille o, meglio, di capitoni, gli animali più maturi, pronti per il ritorno nel mar dei Sargassi per riprodursi. Catturati nei lavorieri dell’azienda Valli, ora gestita dal Parco e diventata Presidio Slow Food, invece di finire arrostiti alle braci e marinati, si sono trovati in mare aperto.
 Cronache da una catastrofe
 Slow Fish
 Di terra e di rezdore
 Tra gli articoli che pubblichiamo per presentare l’evento, uno di essi si focalizza sulla proposta della commissaria Ue Fischer Boel, elaborata per ridare una posizione centrale al mercato vinicolo europeo, ma orientata più alla difesa degli interessi dell’industria che di quelli dei vignaioli. Oggetto di discussione è anche l’attuale sistema delle denominazioni, per le quali si richiedono disciplinari più precisi rispetto agli attuali al fine di rendere l’Europa più competitiva. Infine, un articolo su Alan Limmer, vigneron neozelandese, pioniere di Gimblett Gravels nella Hawke’s Bay.
 La fatina clandestina
Terra, terriccio, terreno, territorio: l’italiano non ha parole per descrivere in modo esaustivo quel che ai francesi basta in un sussurro, terroir. Che dice tutto e non lo si può dire meglio. Ai cugini d’Oltralpe, poi, invidiamo anche un’altra parola, che dice più di viticoltore o vignaiolo, ed è l’ultimo dazio che paghiamo all’aristocrazia enologica dell’hexagone. Intorno a questa parola, vigneron, Slow Food sta imbastendo uno dei momenti più importanti della sua storia enoica, o meglio della sua storia tout court se si considera quanto il vino sia stato incipit a un movimento che vent’anni fa non aveva pressoché altro. Vignerons d’Europe s’intitola il grande momento di confronto che si terrà il 14-15 aprile a Montpellier, dove si riuniranno mille produttori per ridisegnare i contorni della figura del vigneron e per porre al centro le pratiche sostenibili di vigna ribadendone il primato rispetto alle tecniche di cantina. Se ne parla abbondantemente in Slowine, e se ne parlerà altrettanto nei giorni di Vinitaly, ormai alle porte, dove sul vino storicamente ci si interroga, se ne discute e poi si finisce a tavola per festeggiare.
Un ribaltamento paradossale
I quadri divengono così quadri-trappola: sono tableaux-piège che catturano, fissano e rendono eterne le minime pieghe d’esistenza e di realtà che si è appena svolta sopra di loro quando ancora, nel mondo degli uomini, svolgevano la funzione di tavole su cui desinare. Spoerri ha dichiarato di essere stato sempre affascinato dal gioco di mutazioni, spostamenti e riassestamenti che avviene su una tavola durante una cena. È un luogo in cui domina la legge della casualità e dove le nostre abitudini e i nostri bisogni prevalgono sul nostro modo razionale di pensare e di organizzare gli oggetti su una normale superficie. Difficilmente nell’arte contemporanea la distanza tra effimero ed eterno si è fatta così sottile come nei suoi quadri trappola: il gesto dell’artista interviene a bloccare per sempre i resti di un pasto su una tavola, ma il suo intervento trascina con sé e preserva come in un amalgama di ambra fossile anche i gesti, i rapporti e le convenzioni di chi vi era seduto. In un mirabolante gioco di rimandi e di rispecchiamenti consecutivi il lavoro di Spoerri ha da sempre giocato sul ruolo attivo, verrebbe da dire creativo, del pubblico, preso e sorpreso dal Witz del suo vortice di trovate.
Gli avventori del suo ristorante, oltre a deliziarsi con le famose bistecche per cui era diventato famoso in tutta Düsseldorf, potevano del resto anche avventurarsi nel famigerato “menù esotico” che comprendeva omelette di formiche grigliate, stufato di pitone, bistecca di proboscide di elefante, feto di gallina e zampa d’orso. Gli avventori potevano scegliere in libertà, Spoerri non li spingeva mai verso tali inappetibili specialità: egli infatti riteneva che uno stimolo puramente intellettuale bastava perché il suo “pubblico” si rendesse conto del proprio costume alimentare e delle convenzioni ad esso legate e come egli stesso ricorda: «Le persone si comportavano come se avessero veramente potuto ordinare quei piatti e un brivido lungo la schiena le percorreva quando finivano per ordinare una semplice bistecca di manzo».
Dalla Garfagnana
Al Casentino


Tra donne sole
Il rito della spesa
La risurrezione del tortellino