Chiacchiere di vino, musica e cucina/Slowfood

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3/29/2007

On fait ce que l’on dit, on dit ce que l’on fait

Terroir, denominazioni e vigneron saranno ancora gli elementi chiave nel futuro della viticoltura europea, i marcatori che manterranno i nostri vini irriproducibili, non replicabili, unici. Ciò non significa che queste nozioni non debbano essere rivisitate criticamente, che non sia necessario ripensarle e aggiornarle.
Tratto da Slowfood 25. L'articolo è di Eugenio Mailer.


Passeggiare per una Provenza dai colori pastello e i tepori primaverili può essere straniante se, allo stesso tempo, le foglie ancora sulle viti e sugli alberi fanno pensare a un mite autunno, mentre il terreno secco e arido e le piante segnate dallo stress idrico ricordano piuttosto la fine dell’estate.
Una sensazione di spaesamento rafforzata dalle chiacchiere dei cacciatori al bar, che raccontano di femmine di cinghiale gravide, completamente fuori stagione. In effetti siamo ai primi di gennaio e io sono qui per parlare della situazione viticola francese con Michel Bonzo, vicepresidente dell’Inao (l’ente francese preposto alla gestione delle denominazioni d’origine) e produttore a Bandol, rinomata Aoc della Provenza mediterranea.

Un aggiornamento necessario
Il tema è la crisi che il mondo del vino sta attraversando, crisi non solo economica ma anche identitaria, e che rende nebulose le prospettive future portandoci a riconsiderare alcuni punti fermi della viticoltura europea: il concetto di terroir, quello di denominazione d’origine e la figura stessa del produttore, in particolare del vigneron.
Terroir, vigneron: parole che prendiamo in prestito dal francese e che utilizziamo quotidianamente per la loro forza simbolica ed evocativa che trascende la difficoltà di definire i concetti medesimi. È in Francia che hanno trovato la loro formalizzazione, ed è forse qui che bisogna tornare per comprenderne a pieno senso e funzione e verificarne l’attualità.
«Resto convinto che terroir, denominazioni e vigneron saranno ancora gli elementi chiave nel futuro della viticoltura europea, i marcatori che manterranno i nostri vini irriproducibili, non replicabili, unici» afferma Michel. «Ciò non significa che queste nozioni non debbano essere rivisitate criticamente, che non sia necessario ripensarle e aggiornarle».
Le denominazioni sono nate in seguito alla grande crisi di inizio Novecento, una crisi di sovrapproduzione causata anche da comportamenti fraudolenti da parte degli imbottigliatori che diluivano i vini con acqua e alteravano la gradazione con lo zuccheraggio. Esse sono state un dispositivo efficace che ha permesso ai produttori di fare fronte a una rivoluzione epocale nei modelli di consumo del vino, che ha visto la sua trasformazione da semplice alimento a elemento di piacere (escludendo quei vini destinati all’aristocrazia e alla grande borghesia che questo statuto già lo possedevano).
La diffusione del produttore che coltiva la vigna, raccoglie le uve, produce, imbottiglia e commercializza il suo vino è, a sua volta, un effetto del sistema delle denominazioni che ha reso il suo vino identificabile con una determinata tipologia, un territorio, un gusto particolare. Senza la denominazione d’origine, questi vini non avrebbero potuto reggere la concorrenza dei prodotti di marca. Le denominazioni hanno anche incoraggiato il miglioramento qualitativo della produzione, la valorizzazione di prodotti conosciuti precedentemente solo a livello locale e quindi, se vogliamo, l’identificazione di nuovi terroir.

La logica delle denominazioni
La discussione si fa complessa e articolata rientrando in cantina, dove comunque fa più freddo che all’aperto. Un ultimo sguardo al paesaggio mi convince che, se le vigne in questa zona sparissero per qualche motivo, la pressione immobiliare generata dal turismo della costa, ad appena quattro chilometri da qui, vomiterebbe su queste terre un incubo di villette con piscina. Bicchiere di rosé alla mano (apparentemente un altro evento fuori stagione, ma in realtà i rosé di Bandol sono vini dalla struttura importante e si bevono tutto l’anno), continuiamo a chiacchierare, e non posso esimermi dal fare qualche considerazione.
Mi sembra di comprendere che la logica delle denominazioni sia moderna, dinamica, basata sulla partecipazione di tutti gli attori della filiera, ed è questa la differenza con le classificazioni storiche di Bordeaux e Bourgogne che invece costruivano una gerarchia rigida, per sua natura aristocratica e quasi immodificabile, cambiamenti climatici esclusi.
Rimane comunque l’insofferenza di molti produttori nei confronti di un sistema che trovano troppo statico, inadeguato al mercato “globale” per operare sul quale è necessario semplificare la comunicazione e rendere immediamente identificabile il prodotto. «Cabernet sauvignon, syrah, merlot, chardonnay e sauvignon sono ormai nomi internazionalmente conosciuti, mentre non si può pretendere un’enciclopedica conoscenza della geografia francese per essere messi in condizione di scegliere una bottiglia di vino» incalzo il mio interlocutore. «D’altro canto, altri produttori sono convinti esattamente del contrario: che l’originalità dei vini francesi – ed europei – vada preservata e che il problema delle denominazioni d’origine sia piuttosto una produzione ormai standardizzata, complice la diffusione di alcune tecniche e tecnologie enologiche che hanno col tempo depauperato un capitale di originalità e tipicità».
Michel condivide le argomentazioni dei secondi, pur riconoscendo la legittimità del discorso dei primi. Oggi all’interno del sistema delle denominazioni queste due attitudini convivono in un incerto equilibrio, quasi a incastro, che porta alla paralisi e alla perdita di significato, restando incomprensibile per i consumatori. In questo senso, esiste un’esigenza di maggiore chiarezza. «Ciò non deve essere confuso con una semplificazione a favore delle doc regionali» riprende «che svilirebbe il senso stesso della denominazione riducendola a una generica indicazione geografica. Si tratta piuttosto della necessità di una maggiore trasparenza sulle pratiche viticole ed enologiche da seguire, pratiche che giustifichino e legittimino la degna nozione di terroir che ogni doc dovrebbe sottintendere».

Una questione complessa
Si ripropone la felice intuizione di Réneé Renou, presidente dell’Inao, purtroppo recentemente deceduto, che potremmo riassumere in una sua frase: «On fait ce que l’on dit, on dit ce que l’on fait» (facciamo quello che diciamo e diciamo quello che facciamo), assunto che nella sua semplicità centra il cuore del problema e mostra che una soluzione è possibile. Occorre uscire dall’ipocrisia e dall’ambiguità, rivendicare la libertà di scelta di ogni produttore, a condizione appunto di dire ciò che si fa, e di fare ciò che si dice.
La questione resta ovviamente complessa. Le 470 Aoc francesi non sono omogenee tra loro: troppo differenti per grandezza, rigore dei disciplinari, spirito collettivo dei produttori che ne fanno parte, definizione geografica, tecniche enologiche ammesse.
Secondo Renée Renou, Michel Bonzo e altri, la soluzione consisterebbe in un sistema di denominazioni d’origine d’eccellenza, con disciplinari più precisi, una reale dinamica collettiva tra i produttori, una nozione chiara e comune del vino che si vuole produrre, nel rispetto delle caratteristiche del terroir. «Solo le doc che potranno garantire una produzione di alto profilo qualitativo, con identità e tipicità ben definite, potranno fregiarsi di questa denominazione d’eccellenza a condizione, ovviamente, di adeguare il disciplinare in maniera da garantire l’originalità e la tipicità dei vini e la sostenibilità ambientale della produzione» ci dice ancora il nostro ospite.
In questo modo, secondo Bonzo, la viticoltura francese ed europea potrà preservare le caratteristiche proprie salvaguardando l’esistenza del personaggio chiave, il vigneron, questo contadino che in fondo è anche un po’ imprenditore, a volte artista e uomo di marketing, figura profondamente moderna, capace di guadagnarsi un’aura di classicità, un “intellettuale della terra” che rivendica il proprio ruolo e senza il quale le nozioni di origine e terroir non avrebbero alcun senso.
La discussione con Michel potrebbe continuare per ore, ma mi sembra di avere approfittato già troppo della sua disponibilità e il materiale su cui riflettere abbonda. Un tramonto da cartolina mi avvolge, la temperatura è mite, e mi ritrovo ad attendere che si alzi il mistral a riportare l’inverno.

L'impaginato dell'articolo lo trovate qui.
Visitate anche il sito dei vignerons d'Europe.

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