Chiacchiere di vino, musica e cucina/Slowfood

Uno spazio in cui leggere in anteprima e dibattere gli articoli della rivista italiana di Slow Food: osterie e locande d'Italia, recensioni, Presìdi, inchieste, desco music, itinerari del vino e dell'olio, balloons, biodiversità, Comunità del cibo, degustazioni, cultura alimentare…

3/01/2007

Le risate nel vicolo

La rubrica Osterie d’Italia rimane una delle colonne portanti di Slowfood, che questa volta è andato a Imola, a incontrare le donne dell’Osteria del Vicolo Nuovo.
L’articolo è a firma Fabio Giavedoni, le foto sono di Cristina Paglionico del Fiaf.


Ambra Lenini e Rosa Bozzoli hanno aperto l’Osteria del Vicolo Nuovo più di vent’anni fa e da quella data, da romagnole veraci quali sono, sono l’anima, il cervello, il cuore e le braccia della loro impresa. Entrando nel locale si è travolti dalla risata ampia e schietta di Ambra, che rimbomba negli ambienti ricavati all’interno di un antico palazzo secentesco – ex edificio scolastico dei Gesuiti – e che in estate si disperde tra i tavoli apparecchiati nel vicolo. Una sonora risata romagnola, ammesso che sia possibile sentire inflessioni dialettali nel ridere; Rosa, invece, è solitamente seria, con un aplomb inglese granitico, ma in fondo non sembra divertirsi di meno. L’allegria e la cordialità sono da sempre uno dei tratti distintivi di questa ottima osteria imolese, accanto all’altra decisiva particolarità: fin dall’inizio è stato un locale di donne dove hanno lavorato solo donne. Anche in cucina la decana Romana Poli, che fin dall’inizio condivide con Ambra e Rosa questa avventura, e la più giovane Stefania Baldisarri sembrano contagiate dal buonumore dilagante, cosa singolare in un ambiente che nella realtà non è certo rilassante.

Tra donne sole
Ma non litigate mai? È questa la prima domanda che viene spontanea, anche se sembra un po’ ovvia e scontata. «Ce lo chiedono sempre tutti, ormai ci siamo abituate… Non ci crederai» mi dice Ambra «ma sono vent’anni che andiamo d’accordo, senza mai un diverbio. Talvolta c’è stata qualche piccola incomprensione ma nulla di più. E di questo andiamo fiere per due motivi: il primo, più ovvio, è che il lavoro dell’oste è duro, l’ambiente non è certo facile, il contatto con il pubblico si fa ogni giorno più impegnativo e, quindi, litigare all’interno avrebbe reso il tutto così insopportabile che sicuramente avremmo abbandonato l’impresa; il secondo è che volevamo sfatare il mito – che molti malignamente ci ricordavano agli inizi della nostra avventura – che tra donne si litiga sempre. È stata fin da subito la scommessa più grande che avevamo di fronte e abbiamo fatto di tutto per vincerla, oltretutto stando bene attente a non cadere nelle logiche esclusive del più convinto femminismo. In fondo, noi, femministe non lo siamo mai state, ci piaceva solo condividere il lavoro con altre persone del nostro sesso. Oggi siamo veramente soddisfatte, perché all’interno del nostro gruppetto di donne che stanno fuori casa – oltre alle citate danno una mano in osteria anche Miriam Sangiorgi, Samira Saurour e Simona Sapori – si è creato un cordone di grande solidarietà, uno spirito di gruppo veramente unico».
Questa felice condivisione della vita lavorativa si ripercuote anche sulle rispettive famiglie. Ambra ha una figlia di 33 anni, Rosa ne ha due, una con qualche anno in più e una appena più giovane: «Sono sempre state ragazze molto autonome, un po’ giocoforza visto che le mamme a casa per buona parte della giornata non c’erano. Ma ci sono sempre stati un buon clima e un bell’affiatamento con loro perché siamo più che mai convinte che la piena realizzazione della persona faccia bene anche ai figli. Il lavoro è sempre più importante nella vita contemporanea e il fatto che noi fossimo felici nel nostro locale ha avuto indubbie influenze positive anche sulla nostra sfera privata. Le nostre famiglie poi non hanno mai “vissuto in osteria” e, quindi, hanno condotto una vita normale».
E con i vostri mariti, che fanno un altro lavoro, come è andata? Ridono in coro Ambra e Rosa spiegando che quello del marito al Vicolo Nuovo è un lavoro duro: «I nostri mariti non mettono becco nella gestione dell’osteria e fanno quello che i mariti sanno fare: cambiano le lampadine, aggiustano il forno quando si rompe, d’estate spostano i tavoli e mettono dentro le sedie al termine della serata. Non sono mai stati in vista, non hanno mai preso un merito, ma è così, non c’è nulla da fare e loro lo sapevano benissimo. Scherzi a parte, in fondo sono contenti come noi».

Il rito della spesa
Tra una risata e l’altra si arriva a parlare anche della gestione dell’osteria e si scopre subito che stranamente al Vicolo Nuovo non avvengono mai consegne di merci, esclusi l’acqua e i vini. «La spesa vado a farla io» dice Ambra «e mi diverto anche molto». All’osservazione che forse è folle per un’osteria che tiene aperto a pranzo e a cena gestire gli acquisti in questo modo, Ambra salta su dicendo: «Vuoi togliermi anche questa soddisfazione?! Rosa va unicamente dalla nostra verduraia, che produce nel suo orto tutto quello che ci serve, perché è vicina a casa sua; io mi occupo, ogni sacrosanta mattina, di tutto il resto. Negli anni ho intessuto una fitta rete di rapporti con macellai, pescivendoli, produttori di formaggi, di salumi… Dopo tanto tempo ci si capisce al volo, sanno subito quello che voglio e non possono più fregarmi, anche perché mi conoscono e sanno che farei scenate incredibili davanti agli altri clienti! Certo, in un qualche modo ci complichiamo la vita, ma non riusciamo a fare altrimenti. All’inizio abbiamo provato a farci consegnare la roba a casa, ma non eravamo mai contente e quindi abbiamo subito smesso; in fondo però una cittadina piccola come Imola ci facilita il compito». «Diciamo pure» conclude Rosa «che in questo modo non abbiamo mai corso il rischio di farci rifilare quello che non volevamo, e di conseguenza di propinarlo ai clienti!». «Andare di persona a fare la spesa» continua Ambra «è inoltre fonte di spunti e di riflessioni sui piatti da proporre in osteria. Noi siamo nate, dal punto di vista culinario, agli inizi degli anni Ottanta, quando tornarono di moda le osterie e siamo sempre rimaste ancorate a quella visione della cucina: piatti semplici, con una base di tradizione ma senza schemi troppo rigidi. Per questo ora proponiamo, accanto ai piatti della cucina romagnola, anche ricette della tradizione di altre regioni vicine. Le idee per una nuova pietanza spesso mi vengono proprio andando a fare la spesa: allora vedo i rognoni, le trippe, la guancia di vitella e comincio così a pensare al piatto, leggendo e facendomi aiutare dalla mia curiosità. Quando mi sono finalmente convinta lo spiego in cucina e poi lo facciamo, senza tante prove o elaborazioni: la Romana, che pure è colpita da un sano furore culinario, non pensa mai a piatti nuovi ma, quando ne propongo uno, è capace di farlo subito meglio di quanto io stessa pensassi».

La risurrezione del tortellino
In effetti la cucina del Vicolo Nuovo è lineare, semplice, senza troppe elucubrazioni ma assolutamente efficace, buona per una breve ma appagante sosta di mezzogiorno, per un confortante dopoteatro notturno oppure per una più lauta e articolata cena “da ricorrenza”. Si capisce subito che Ambra e Rosa non amano quel genere di cucina che loro chiamano “acrobatica”; sono fortemente convinte che un piatto debba stupire per il gusto e non per la combinazione di colori e di forme. Su questo non hanno mai avuto dubbi. I problemi che si trovano a risolvere semmai sono altri e te lo spiegano quando affronti il tema dei tortellini (in brodo, ovviamente, perché in qualsiasi altro modo non sono mai stati neanche lontanamente pensati!): «Per qualche anno li avevamo abbandonati perché li volevano in pochi e in osteria ordinavano altre minestre. In seguito, però, ci siamo accorte che la gente aveva ripreso a chiederli per il semplice fatto che a casa non li faceva più nessuno. Si sa che per ogni emiliano il tortellino più buono è quello che si fa a casa propria – per i romagnoli vale la stessa regola, ma l’oggetto del contendere in questo caso è il cappelletto, ripieno di solo formaggio, senza carne – e pertanto, se volevamo proporli, avremmo dovuto farli per forza noi (guai a comperarli!), e per forza buoni. Diversamente, ne avremmo fatto tranquillamente a meno. Ci rendiamo conto che forse poteva essere una questione banale, ma per noi era fondamentale». L’assaggio del piatto ci conferma che il presunto problema è stato grandemente superato.
Alla fine chiediamo ad Ambra e Rosa quale sia il segreto che ha ottenuto che, dopo più di vent’anni, la gente entri ancora nella loro osteria con l’entusiasmo dei primi giorni. «Nessun segreto» dicono in coro «siamo ancora qui perché in realtà di principi azzurri per l’osteria ne sono passati tanti ma nessuno ci ha mai portato via veramente!». Seguono risate, ovviamente, fino alle lacrime.

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1 Comments:

Blogger nini said...

complimenti per il vostro lavoro, è davvero ammirabile.
Un bel blog

05 marzo, 2007 12:49  

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