Chiacchiere di vino, musica e cucina/Slowfood

Uno spazio in cui leggere in anteprima e dibattere gli articoli della rivista italiana di Slow Food: osterie e locande d'Italia, recensioni, Presìdi, inchieste, desco music, itinerari del vino e dell'olio, balloons, biodiversità, Comunità del cibo, degustazioni, cultura alimentare…

2/21/2007

I see a red wine and I want it painted black (di Giles MacDonogh)

A quattro giorni dall’uscita di Slowfood 24, anticipiamo l’itinerario dei vini di Cahors contenuta in Slowine.

Si è molto discusso della natura precisa dei vini “neri” di Cahors. Il giornalista enologico inglese Clive Coates postula che il vino fosse «cotto» e aggiunto di alcol1, ma sembra più probabile che lo si definisse nero solo per distinguerlo dal clairet, il “chiaretto” di Bordeaux, prodotto con uve sia nere sia bianche. Nero non era altro che quello che oggi chiameremmo un bel rosso.

Origini
Cahors vanta origini antiche. Il vino era conosciuto come Falernum in epoca romana in quanto era fatto nello stile dei tanto apprezzati cru dei pendii del Vesuvio. Molti sostengono che fosse già prodotto con l’uva auxerrois (malbec o cot) che dà vini di colore profondo, ma le cultivar mutano così in fretta che sarebbe ingenuo pensare che il carattere odierno di una varietà ci dica molto sul sapore di qualche sua antenata di un secolo fa e, a maggior ragione, di 1000 o 2000 orsono.
Sul piano geografico, Cahors aveva molte frecce al suo arco. La città romana e medievale si trova sulle rotte commerciali per Marsiglia, Bordeaux e Compostella, il che significa che i pellegrini potevano apprezzarne il vino e diffonderne la fama. Le strade non erano sempre affidabili, ma il fiume Lot è un affluente della Garonne e le merci potevano quindi partire da Bordeaux o Royan nell’estuario della Gironde. Balzelli erano imposti dai numerosi castelli lungo la strada prima che i mercanti di Bordeaux tassassero pesantemente il vino. Ne valeva la pena: il nero godeva di grande reputazione nell’Europa settentrionale, mentre il clairet tendeva a sfiorire e a deteriorarsi durante i lunghi viaggi in mare.
Cahors cominciò poi a subire le conseguenze della lotta di potere, che va sotto il nome di guerra dei cent’anni, tra la corona inglese e quella francese. Gli inglesi istituirono il famoso “privilegio” per i vini di Bordeaux nel 1373, avendo deciso che gli altri loro territori li avevano traditi. Ciò significava tasse ulteriori su vini di Cahors nel Quercy e su tutti quelli che non provenivano dal siniscalcato di Bordeaux. Cahors era tornata alla Francia e il suo vino non poteva essere portato a Bordeaux prima di Natale, quando il mare era troppo agitato per trasportarlo. Furono i bordolesi ad avvantaggiarsene: usarono Cahors per rinvigorire i loro vini più esili. I prodotti provenienti da terre francesi dovevano lasciare Bordeaux prima del 1° maggio per assicurare a quest’ultima il vantaggio di mari più calmi e la possibilità di vendere i propri dopo la vendemmia.
Quando infine tutta la Guyenne divenne territorio francese nel 1453, sarebbe sembrato ovvio eliminare il privilegio per Bordeaux che aveva favorito i vini “inglesi”, ma il re di Francia decise di mantenerlo per guadagnarsi la lealtà dei nuovi sudditi, che sospettava sentissero la mancanza dei loro padroni inglesi. Con una o due brevi interruzioni, il privilegio rimase in vigore fino alla rivoluzione francese.

Prosperità
I vini di Cahors superarono tutti gli ostacoli perché rimasero popolari in Europa settentrionale e furono sempre più richiesti dopo le guerre di religione francesi nel Cinquecento. Molti protestanti francesi emigrarono in Olanda, nei porti anseatici, in Prussia, Inghilterra e Irlanda, mantenendo però legami in patria in modo da poter portare avanti i commerci. A partire dalla seconda metà del Seicento, i gusti cambiarono: i vini scuri erano più ricercati dei clairets. Tale sviluppo culminò nei «nuovi clarets francesi», che dall’inizio del Settecento presero d’assalto la Gran Bretagna. Erano il frutto di una ricetta nata a Château Haut Brion. Bordeaux era finalmente arrivata. Quel vino era sì chiamato claret, ma era lontano mille miglia dal clairets; e, molto probabilmente, Cahors continuò a rinvigorire i prodotti più esili provenienti dalle tenute di proprietà dei nobili e dei mercanti di Bordeaux.
La qualità del vino di Cahors prima del XX secolo doveva molto al fatto che le viti fossero piantate su terreni rocciosi: gli affioramenti calcarei o causses esposti a sud, sopra la fertile terra alluvionale su entrambe le sponde del Lot. La situazione cambiò quando Cahors toccò il culmine della sua prosperità intorno al 1850, dopo l’epidemia di oidio e prima del 1876, quando la fillossera spazzò via tutto, qui come ovunque. Durante quel quarto di secolo si assistette a una vera e propria furie de planter. Si dice che al termine di quel periodo gli ettari vitati fossero 80 000 – il doppio del 1816 – e che non si scorgesse un solo albero nella valle del Lot. La vite arrivò fino al fiume. Il celebre black wine del causse spuntava prezzi tre volte superiori a quelli del vino comune, clairet o bianco.

Abbandono
Cahors colse anche i vantaggi dell’avvento della ferrovia, in quanto non dipendeva più dai mercanti di Bordeaux, che dimostravano la loro lealtà alla terra natia privilegiando i vigneti nei dintorni della città. La fillossera non soltanto cancellò quasi tutte le viti, ma cambiò la mentalità. Le vigne colpite più duramente furono quelle piantate nei migliori terreni calcarei, mentre sui suoli argillosi più vicini al Lot resistettero meglio. L’unico modo per sconfiggere la fillossera era piantare le viti su piede americano, che però non si adattava bene al calcare: altra ragione per abbandonare i pendii delle colline, che non erano mai stati facili da coltivare. La grande guerra contribuì ulteriormente al declino di Cahors portandosi via tanti degli uomini abili nel lavorare le vigne e il colpo di grazia fu inferto dai vigneti dell’Algeria, che potevano dare vini scuri e forti a un costo assai inferiore. Il malbec fu progressivamente abbandonato a favore di altre varietà più facili. Cahors era pressoché morta.

Rinascita
La rinascita è avvenuta dopo la seconda guerra mondiale. Nel 1971, durante la presidenza di Georges Pompidou, Cahors ottenne la Aoc. Restavano in produzione solo 440 ettari; trent’anni dopo quella cifra era decuplicata, pur rappresentando appena un quinto della superficie potenziale della denominazione. I viticoltori dovevano utilizzare il 70% di malbec e potevano aggiungere tannat, merlot, syrah o jurançon rouge per il restante 30%.
La grande maggioranza dei nuovi impianti è stata fatta sui terreni poveri della valle del Lot. Buona parte delle uve di qualità inferiore era venduta alla cooperativa Les Caves d’Olt di Parnac – anch’essa in grado di fare buoni vini. Purtroppo, la deplorevole Carte Noire squalificava Cahors agli occhi di molti appassionati di vino.

La nidiata di Lagrézette
I commentatori hanno continuato a chiedersi che cosa fosse successo ai vini neri, ma Cahors faceva progressi. Nel 1980 Alain Dominique Perrin, della celebre gioielleria parigina Cartier, acquistò Château de Lagrézette, 65 ettari, cominciando subito a trasformare le vigne. Nel 1998 ha costituito una società di négoce per acquistare partite di uva destinate ad aumentare la produzione del vino base del Château. Il vino di punta denominato Pigeonnier, da uve malbec in purezza di uno specifico appezzamento dietro il castello, è stato affidato all’enologo consulente Michel Rolland di Pomerol, per conferire al vino il tipico carattere possente dei suoi prodotti. Il Pigeonnier ha avuto l’effetto di galvanizzare altri produttori desiderosi di ottener la Aoc. L’azienda ha avuto grande successo con i vini maestosi prodotti nel 2004 e 2005, ma resta sempre la domanda se siano Cahors o altri vini di Rolland.
Il Pigeonnier non è l’unico nella nidiata di Lagrézette. C’è anche La Dame Honneur, fatto secondo uno stile più femminile con un po’ di merlot per soddisfare i tradizionalisti. Il vino che porta il nome dell’azienda – Château de Lagrézette – è stato di recente classificato tra i 100 migliori del mondo da una rivista americana. La fama di Perrin non solo ha aperto le porte del mercato ai suoi vini, ma ha promosso Cahors in tutto il mondo. Sono stati fatti arrivare giornalisti in elicottero per degustazioni speciali, ospitandoli nel magnifico Château de Mercuès, un tempo residenza dei vescovi di Cahors.

La carta della qualità
Oltre a mostrarsi generoso, Perrin ha incoraggiato altri produttori. Si è impegnato a studiare un progetto per riscattare Cahors e cancellare una volta per tutte la sua immagine modesta. Nel dicembre 2002, insieme con altri, ha proposto una modifica della Aoc in base alla quale le vigne sarebbero state gradualmente spostate sulla seconda terrazza sopra il fondovalle nell’arco di 25 anni, al termine dei quali 400 ettari sarebbero stati declassificati. Il passo successivo sarebbe stato di portare le viti su un terzo livello, declassificando il secondo. Quando le sue proposte sono state bocciate, Perrin se n’è andato sbattendo la porta e da allora non ha più partecipato.
Il testimone è stato in parte raccolto dalla Carta della qualità varata nel 1999. L’idea era di creare grands crus chiamati Excellence. La carta prescrive che i vini siano neri, sappiano invecchiare e siano dotati di eleganza. Come varietà complementari sono ammessi solo tannat e merlot, per non meno del 12% contro il 10,5% della Aoc. I vini devono essere selezionati ogni anno da una giuria severa. Il loro numero quindi varia: 13 il primo anno, 19 nel 2000, 27 nel 2001, 22 nel 2002, 12 nel 2003 e 28 nel 2004.
I produttori hanno il diritto di destinare una parte delle vigne al loro vino Excellence. L’auxerrois o malbec è considerata l’unica uva seria della denominazione e gran parte dei vini di punta è prodotta esclusivamente con esso. La popolarità dei vini argentini è stata di un certo aiuto: ora è possibile acquisire un gusto per il malbec e riconoscere Cahors come luogo d’origine.

Le nuove aziende
Château Croisille, situato fuori mano nell’area in cui si producevano i tradizionali vini neri, è rappresentativo delle nuove aziende di Cahors. I Croisille, pur avendo piantato le vigne nel 1979, non hanno prodotto subito vini propri, conferendo invece le uve alla cooperativa. Oggi dispongono di 13 ettari. Il vino base, fatto con malbec e merlot, è ottimo, ma naturalmente c’è anche un Malbec in purezza chiamato La Noble Cuvée, frutto di rese molto più basse. È piuttosto potente, ma Divin va oltre e presenta sentori di fichi e cioccolato. È fatto nello stile dei vini in voga, quelli che fanno guadagnare davvero i loro artefici.
A Château Lamartine, Alain Gayraud dispone di una decina di varietà complementari; è il produttore più a occidente di Cahors. Avendo vigne più soggette all’influenza dell’Atlantico, deve vendemmiare qualche giorno prima dei colleghi a est. Limita la produzione a sei grappoli per pianta e dirada il resto. Dispone di 28 ettari, ma destina le uve delle vigne migliori al suo Excellence. La produzione è di una bottiglia per pianta. I vini migliori possono essere frutto di rese di appena 13 ettolitri per ettaro. Mi sono innamorato del suo 2001, ma ho constatato che le bottiglie assaggiate a Cahors purtroppo non erano in forma.
Ho degustato una trentina di vini della nuova generazione alla Maison du Vin di Cahors. I buoni vini a base di malbec o auxerrois hanno un carattere quasi floreale, una sorta di arbusto esotico fuso con gli aromi e i sapori delle more di gelso e di tanto in tanto la violetta. A volte il frutto ricorda di più il lampone, più simile al carattere varietale che troviamo nei vini argentini. Qualcuno esprimeva anche un cenno di cedro o di tabacco. In gran parte sono vini grassi, nello stile possente di Rolland, evidentemente sulla scia del prezzo e del successo di Lagrézette, e ricordano un Porto secco. Era presente anche uno stile più sommesso, che a lungo termine sembrava corrispondere meglio all’immagine del «vino nero» di Cahors.
I 12 vini migliori, a mio giudizio, sarebbero in ordine decrescente Lou Prince 2002 del Domaine du Prince; Haute Collection 2001 di Château Eugénie; La Métairie 2001 di Métairie Grand du Théron; Cuvée d’Exception 2001 di Château Croix de Mayne; Le Pigeonnier 1999 di Château de Lagrézette; Eulalie 2001 di Château de Cenac; Elite 2001 di Château Combel-La-Serre; Quintessence 2002 di Château Les Rigalets; Divin 2002 di Château La Croisille; L’Eclat 2002 di Château la Coustarelle; Chevalier de Malecoste 2003 di Château Camp del Saltre; e La Tour Saint Sernin 2000 di Château Saint Sernin.
Lou Prince proponeva un’inebriante mescolanza tra sentori di mora di gelso e lampone, tannini fini e rinfrescanti e un cenno di menta. Era morbido ma non pesante: per me il Cahors perfetto. Lou Prince costa 20 euro e la maggior parte degli altri tra 15 e 20, mentre Le Pigeonnier supera i 60 euro e alcuni (Chevalier de Malecoste, ad esempio), solo 7. Château Lacapelle-Cabanac è un’azienda biodinamica.
Oggi Cahors gode di miglior salute di quanto si sia verificato dagli anni Settanta dell’Ottocento, ma il fallimento dell’iniziativa di Perrin ha rappresentato una battuta d’arresto. In cuor suo, ogni produttore capace sa che le viti devono tornare sui pendii esposti a sud, preferibilmente sulla riva settentrionale del Lot. Il Cahors tornerà a essere nero quando le viti saranno bandite dal fondovalle.

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