Chiacchiere di vino, musica e cucina/Slowfood

Uno spazio in cui leggere in anteprima e dibattere gli articoli della rivista italiana di Slow Food: osterie e locande d'Italia, recensioni, Presìdi, inchieste, desco music, itinerari del vino e dell'olio, balloons, biodiversità, Comunità del cibo, degustazioni, cultura alimentare…

1/05/2007

Due anime, anzi no (di Alessandro Monchiero)

Editoriale di Slowfood 23, che trovate qui.

Corridoi. Luoghi di passaggio fra realtà comunicanti, non necessariamente omologhe. In fondo al padiglione 3 del Lingotto, interamente dedicato ai Presìdi italiani e internazionali, c’è quello che mette in contatto il Salone del Gusto con Terra Madre. In mezzo, a fare da cuscinetto tra i due mondi, ecco il Mercatale di Montevarchi in trasferta sabauda, con le sue bancarelle di produttori che vendono direttamente ai consuma- tori, offrendo in garanzia prima di tutto le loro facce, la loro storia. Poi, una scabra e trafficata via simile a un’uscita di sicurezza a cielo aperto – e che cieli tersi e inconsueti in questo tardo ottobre torinese! – nasconde fino all’ultimo metro l’epifania del gigantesco piazzale dell’Oval, brulicante di un via vai di etnie e di colori, e spesso di gente che si riposa dopo estenuanti viaggi iniziati il giorno prima.

La prima volta che lo percorri è giovedì nell’ora di pranzo, quando il Salone ha aperto i battenti da poche ore e già ribolle di profumi e di gente china per annusarli meglio e nell’enoteca si sono già stappate centinaia di bottiglie per accompagnare i cicheti veneti di Galdino o il pesce crudo di Nando. È solo giovedì ma hai già faticato un po’ per farti strada nell’arrivare fino qui, zigzagando tra una folla perfino inaspettata e ora, sul piazzale e nell’atrio dell’Oval – dove troneggia una splendida capanna o igloo che dir si voglia di Merz –, respiri tutta un’altra aria: la sensazione di “mondo altro” è palpabile e, ti dici, difficilmente incrinabile. Eccole, dunque, le due anime di Slow Food: la kermesse fieristica del Salone e lo spazio etico-filosofico di Terra Madre. Con giustamente il Mercatale a fare da intercapedine, un limbo di convivenza tra il mondo della produzione e quello del consumo. Ma è solo giovedì. E siamo tutti ancora un po’ te- si. C’è da rispettare il rigido protocollo presidenziale per ospitare Napolitano all’assemblea plenaria di apertura di Terra Madre, ci sono da accreditare oltre 5000 delegati delle comunità del cibo, un migliaio di cuochi e circa il doppio dei giornalisti e ci sono già le code fuori dalle biglietterie del Salone, che promettono un infuocato weekend che ci porterà alla stratosferica cifra di 172 000 visitatori. E il giovedì è il giorno delle domande, delle ipotesi, delle aspettative. E dello sconvolgente impatto visivo dell’Oval composta- mente strapieno: 7000 sedie rosse occupate da volti asiatici e sudamericani, caucasici e africani, infagottati e protetti dalle forme ondulate della struttura progettata da Alessandro Zoppini, con quel groviglio-gioiello di tubi a far da cappello e quelle centinaia di teleobiettivi schierati sulla terrazza, vanamente tesi a cogliere il tutto, sebbene il tutto non ci stia e debordi, e si rannicchi spesso lontano dai flash. Nelle mani dei campesinos messicani o dei pastori transumanti mongoli, nei monili delle donne sahariane o sotto il caftano delle mediorientali. È solo giovedì e se due mondi devono essere, perlomeno sono due bei mondi, che ci piace avere riunito geografica- mente e cronologicamente: Lingotto e Oval, Torino, dal 26 al 30 ottobre.

Ma poi venerdì, sabato, domenica e lunedì quel corridoio diventa una vena, dove il sangue, il calore e la vita s’intrecciano e si amalgamano in un sol corpo. E quel corpo è quello di ciascuno di noi, armonico soltanto quando il piacere sposa il pensiero, e il gusto individuale diventa un diritto collettivo, da estendere e preservare in futuro. E senti nella sala gialla del Lingotto – per l’occasione battezzata Spazio Slow in onore alla rivista omonima e dedicata alle conferenze aperte al pubblico di Terra Madre – la voce di Villafane Moises, campesino colombiano, con la sua fiera testa allungata dal tutosoma bianco. Ci parla del dio dell’occhio, del dio del fegato e del dio della bocca. E dice che quando muore una pianta muore una parte di noi, perché sia- mo parte del tutto. E che la nostra memoria è a mollo nel lago e conficcata nella dura roccia nella montagna, e della nostra appartenenza al- la Terra, che dunque non ci appartiene. E, ancora, della missione che ogni singola pianta ha nel mondo, perfino la vituperata foglia di coca, che non è colpevole dello squallido uso che ne facciamo. E con altri toni ma con altrettanta ispi- razione senti Ferran Adrià scandire il suo mea culpa, «il modello alimentare occidentale ha fallito», applaudito da contadini burkinabé e pescatori coreani che incassano le sue scuse, eppure neppure immaginano di trovarsi al cospetto di uno dei più grandi chef del mondo. E tutte le anime si fondono e sono una cosa sola, un’anima di resistenza e speranza a quanto apprendiamo – senza troppa sorpresa, purtroppo – martedì 31 ottobre, a manifestazioni concluse, quando i giornali diffondono l’ultimo drammatico rapporto Fao, con il numero delle persone che soffrono la fame salito a 854 milioni, in un mondo che produce il doppio del suo necessario. Ecco, la sensazione che il Salone e Terra Madre abbia- no lavorato anche per questa fetta di mondo è consolante e ci rende orgogliosi, e che Slow Food sia riuscito a far convivere, addirittura fraternamente, Aminata Traoré e Vandana Shiva con Scabin, Ducasse e i produttori di culatello di Zibello è un’utopia concretizzata, dalla quale ripartiremo con convinzione. È la rete che prende vita, sono i nervi, le vene, le gole, i pensieri del pianeta che s’intersecano in una globalizzazione virtuosa. Tutto ciò ci piace e, con permesso, ci commuove.

Su questo numero della rivista siamo riusciti a inserire all’ultimo momento, poco prima di andare in stampa, un assaggio fotografico di quel che è successo a Torino. Ci ritorneremo abbondantemente su nel 2007, quando a fine febbraio troverete un nuovo Slowfood nella vostra buca delle lettere: ci lavoriamo da mesi e abbiamo la speranza che sia graficamente più bello, più interessante dal punto di vista contenutistico, più facilmente consultabile e ancora più aperto al mondo associativo. Molto curiosi di ricevere, oltre alle vostre opinioni sui cambiamenti, anche spunti, tracce, suggerimenti su come migliorarlo ancora.

Le foto di questo articolo sono di Gianluca Canè. Ne trovate molte altre qui.

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2 Comments:

Anonymous Anonimo said...

Perche non:)

03 novembre, 2009 02:45  
Anonymous Anonimo said...

La ringrazio per intiresnuyu iformatsiyu

03 novembre, 2009 02:48  

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