Chiacchiere di vino, musica e cucina/Slowfood

Uno spazio in cui leggere in anteprima e dibattere gli articoli della rivista italiana di Slow Food: osterie e locande d'Italia, recensioni, Presìdi, inchieste, desco music, itinerari del vino e dell'olio, balloons, biodiversità, Comunità del cibo, degustazioni, cultura alimentare…

12/14/2006

Creare (di Paolo Marchi)

Così come le tradizioni hanno valore quando sono legate a produzioni e stili di vita reali, quando aiutano a mantenere le campagne, le coste e le montagne vive, così la creatività deve essere la conseguenza di idee dirette del cuoco. Non basta adottare tecniche, presentazioni o accostamenti altrui, questa è solo simil-creatività. Una riflessione di Paolo Marchi su Slowfood 23, che trovate qui.

Materie prime di qualità e idee proprie, questo chiedo, in estrema sintesi, a un cuoco. Che quegli ingredienti siano del territorio in cui vive e lavora o che arrivino da lontano, ma siano sempre espressione di una qualità autentica, mi importa meno, così come non mi hanno mai emozionato le simil-tradizioni, quei piatti proposti solo perché se sei in Valtellina “devi” mangiare pizzoccheri e in Toscana la fiorentina e poi magari i primi sono fatti con grano cinese e le seconde con carni dalla filiera incerta come la guida in una notte di nebbia.
In prima battuta la qualità, aspetto che si dovrebbe dare per scontato da un certo livello in su, ma che non è affatto così. Più mi sforzo di apprendere e più mi convinco che esista una qualità assoluta nella spesa (Assenza, Cracco e Pierangelini per fare tre esempi in zone d’Italia ben diverse tra loro) e, a scendere, una qualità per fasce di prezzo che purtroppo investe in pieno anche le insegne di pregio e conti stellari. La pressione della grande industria alimentare è spaventosa e le scorciatoie che vengono proposte ai cuochi e ai pasticcieri – animali già lavorati e porzionati, farine che si panificano da sole, gelati alla frutta senza frutta, verdure così perfette da sembrare di plastica (e forse lo sono pure) – sono tali e tante che è sempre difficile non imboccarle.

Etica professionale
Chi non ha una visione etica del proprio lavoro, chi, pur potendo adottare una piccola ma qualificatissima lavorazione, la scarta per comodità e si fa spedire la spesa dal distributore “tutto pronto – tutto subito”, chi va sul sicuro e non rischia mai un ingrediente insolito, chi si limita a essere “culinariamente corretto”, attento a proporre quello che il mercato richiede – ad esempio il tonno appena scottato fuori e ancora crudo dentro o il “famigerato” tortino di cioccolato dall’anima liquida – costoro andrebbero penalizzati nei giudizi di tutti e non solo nei miei perché ormai non si può più essere nel mondo della ristorazione senza chiedersi per davvero come sta il mondo reale, non si può credere che certi problemi non ci riguardino, continuando a consumare come se i mari non fossero malati e le terre e l’aria pure.
E, come si può essere standarizzati nelle scelte dei prodotti, gli esempi che ho appena fatto stanno lì ad avvisarci che si può essere conformisti e prevedibili anche a livello di creatività, basta avere imparato la lezione copiando più o meno bene l’Adrià o lo Scabin di turno e fare poi affidamento sulle scarse conoscenze sia della clientela media sia, purtroppo, dei mass-media che troppo spesso si avvicinano alla ristorazione solo perché come argomento è sciaguratamente trendy.
Come le tradizioni hanno valore quando sono legate a produzioni e stili di vita reali, quando aiutano a mantenere le campagne, le coste e le montagne vive, così la creatività deve essere la conseguenza di idee dirette del cuoco. Non basta adottare tecniche, presentazioni o accostamenti altrui, questa è solo simil-creatività. Il cuoco deve diventare un traino per l’economia della sua area-regione-nazione. Non si può pretendere di combattere i fast food e le mense, se i ristoranti stellati non sono i primi a rifiutare la massificazione della ristorazione, procedendo avanti o anche indietro nel tempo alla ricerca di momenti e modelli che possono rivelarsi di nuovo utili esattamente come i nuovi macchinari che la scienza inventa e adatta alla cucina (sempre che non diventino il soggetto del menù, a scapito della materia prima).
È per questo che io parlo di cucina d’autore e gradisco sempre meno la suddivisione fra tradizionale e creativo, a ben guardare sempre labile nel tempo perché, in fondo, ogni rivoluzione riuscita prima o poi si imborghesisce e diventa conservazione di nuovi equilibri e privilegi e, prima o poi, si deve difendere dal nuovo che preme per scavalcarla.