Chiacchiere di vino, musica e cucina/Slowfood

Uno spazio in cui leggere in anteprima e dibattere gli articoli della rivista italiana di Slow Food: osterie e locande d'Italia, recensioni, Presìdi, inchieste, desco music, itinerari del vino e dell'olio, balloons, biodiversità, Comunità del cibo, degustazioni, cultura alimentare…

6/18/2007

Pubblicità progresso? Vol. II

La seconda puntata dedicata al mondo della pubblicità alimentare, tratta da un'inchiesta ospitata su Slowfood 27. L'impaginato dell'articolo lo trovate qui.



Le marmotte preparano e confezionano tavolette di cioccolato, in una tipica casetta di montagna, ma lavorando in stile catena di montaggio. Dall’esterno, un tizio – turista o escursionista – le osserva stupito, poi torna il città e racconta con entusiasmo cosa ha visto a una tizia. Che lo guarda con compatimento e acconsente: «Sì, certo le marmotte…», come si fa coi matti. È una pubblicità televisiva che, in modo simpatico, prende in giro le fantasiose pretese di naturalità vantate da molti prodotti, “solo i matti ci possono credere”. E il racconto dei diversi metodi di lavorazione del cioccolato, sempre effettuati dalle marmotte, prosegue in altri spot (Nb: le marmotte sono vistosamente finte, come gli orsi loro colleghi di lavoro).
Un’altra pubblicità televisiva autoironica è quella in cui Alessandro Gassmann è in compagnia, a casa di amici, e beve whisky. Una ragazza lo vede e dice «Tu sei, tu sei…», riconoscendolo ma un po’ incerta sul nome. Gassmann è compiaciuto. Resta però stupito quando conclude: «Tu sei Michele!» e, guardando in macchina, lui chiede, con accento romanesco: «Ma chi è Michele?». Michele era l’intenditore che nella pubblicità dello stesso whisky, una ventina di anni fa, era capace di riconoscere quel liquore a occhi bendati e che, ai tempi, era diventato un tormentone (ma quanti se lo ricordano ancora?). In generale non sono molte le pubblicità italiane autoironiche o particolarmente innovative. Soprattutto in televisione, mezzo che comunque rastrella la quasi totalità degli investimenti relativi ai prodotti alimentari (vedi tabella).

La fiera del superfluo
«La pubblicità italiana è particolarmente arretrata, anche rispetto, ad esempio, al Sudamerica. È conservatrice, tradizionale, ha paura di rischiare» dice Vanni Codeluppi, docente di sociologia dei consumi allo Iulm di Milano. Segno di questo è il fatto che l’Italia non prende mai premi, tra i molti previsti in svariate sezioni, al Festival internazionale della pubblicità di Cannes (unica eccezione, in tanti anni, la lavatrice con l’oblò-acquario, ma non è alimentare). Ribadisce Ugo Volli, professore di filosofia del linguaggio e autore di Semiotica della pubblicità (Laterza, 2005): «La pubblicità si rivolge alle masse, a milioni di persone per vendere loro milioni di articoli, non può essere troppo avanti o troppo strana». E, dati i costi, chi può permettersi di farla sono i grandi gruppi industriali. Un sistema che esclude i piccoli produttori, gli artigiani, chi lavora legato a un territorio. Un altro importante settore pubblicitario, meno considerato e probabilmente meno interessante dal punto di vista dell’analisi comunicativa, è quello delle televendite, dei volantini portati casa per casa, delle promozioni dei supermercati. Qui il messaggio è chiaro e univoco, spendere poco. E lo stile si adegua, privo di fronzoli, pauperistico o addirittura rozzo. Spesso anche la carta e la stampa sono grossolane, come a ribadire che non c’è spreco, si va al sodo, al risparmio.
Tornando alla televisione, quali sono gli alimenti maggiormente pubblicizzati? Il professor Volli li riassume in cinque categorie: dolci e biscotti (ovvero “prodotti industriali da forno”), gelati, surgelati, aperitivi alcolici e soft drink, e, alla fine, quasi per controbilanciare gli altri, i “dimagranti”. Ovvero, cose superflue, tipiche di una società sazia, dove il necessario per sopravvivere, almeno dal punto di vista alimentare, è assicurato a tutti. Un caso esemplare a questo riguardo è la Ferrero, che investe enormemente in pubblicità (vedi tabella), con stili e moduli diversi per ognuno dei suoi tanti prodotti, che in fondo sono “superflui”, goloserie per grandi e piccini.
Aggiunge Volli: «Sostanzialmente, i prodotti alimentari, di ogni tipo, sono tutti uguali. Ed è compito del messaggio pubblicitario fare la differenza, tramite valori immaginari». Il whisky e il cioccolatino sono associati a feste di gente “bella e felice”, l’acqua minerale “fa dimagrire”, il gelato aggiunge sex-appeal, lo yogurt rende sani e belli, anzi, sane e belle.

La famiglia: conservatrice e anticonformista
In generale, le pubblicità alimentari giocano molto sugli stereotipi familiari, la mamma contenta di stare legata ai fornelli e fondamentalmente casalinga, anche se, purtroppo, in alcuni casi, deve lavorare, i bambini rompicoglioni ma inevitabilmente adorabili, il papà capofamiglia che esce e va nella giungla urbana a procurare il cibo e così via (ma, quanto a luoghi comuni, i peggiori sono i detersivi e le sostanze varie per pulire la casa). Terribile è la bambina che prepara la merenda a dei pupazzi di pelouche, lamentando che il suo pelouche-figlio invita a casa gli amici. Analoga la bambina che fa finta di servire il tè a un orso di pezza o qualcosa di simile. Tristi prefigurazioni di donne oppresse e oppressive. E, a proposito della rappresentazione della donna, è da notare l’uso e l’abuso, in Italia, del corpo femminile seminudo e ammiccante in ogni tipo di pubblicità, non solo cosmetici e biancheria intima, ma anche e soprattutto telefonini, automobili, colle (sì, prodotti per incollare) e quant’altro. Forse più grave, come impatto sociale negativo, il perenne contrasto tra la golosità femminile, la lussuria con cui le donne azzannano e gustano biscotti, spaghetti, gelati, cioccolato, e la drammatica necessità di essere magre. Non è salutismo, è repressione, colpevolizzazione delle donne e dei loro appetiti. Un ennesimo incentivo all’anoressia e ai disturbi alimentari.
Vale la pena di notare i messaggi diversi dal modello familiare conformista, sempre restando in ambito televisivo. Nel recente spot di un dado, è il giovane maschio che prepara il pasto, usando il pizzico di granulato come perfezionamento della sua ricetta. Arriva la giovane femmina invitata e lo abbraccia. Ma, è evidente, lui ha soltanto preparato la trappola, la sua abilità di cuoco è un trucco momentaneo per accalappiare la preda, l’unico piatto davvero appetitoso, la quale dovrà poi cucinare per il resto della sua vita. Più moderna la mozzarella impanata che serve da lubrificante sociale tra le nuove famiglie allargate, agevolando la conoscenza amichevole con il secondo marito della madre e tra i vari rispettivi figli adolescenti. C’è anche un sugo pronto che aiuta il nuovo fidanzato della mamma a rendersi simpatico a un maleducato bambino.
Opposta agli stereotipi e vagamente anticonformista la scenetta in cui è la nonna a rifiutare l’invito a pranzo di figlio e nuora per starsene da sola, a gustarsi in pace il suo surgelato (ma ricorda la storiella, sempre di pubblicità televisiva, della nonna che, in assenza dei più giovani, ha organizzato una festa e gozzovigliato con gli amici, ma che vuole mantenere con i figli la sua immagine di vecchietta triste e sola: l’aiuta un detersivo per pavimenti super efficiente che cancella velocemente le tracce del divertimento). Ma tra le pubblicità più originali e più belle, ben pensate e ben girate, ci sono quelle delle gomme da masticare. I ragazzini morbosi e foruncolosi che, grazie alla gomma, da sotto una grata soffiano con grande energia tra le gonne delle compagne di scuola. Ambientazione e costumi tipicamente inglesi. L’aria condizionata, in un posto di lavoro dall’aria sudamericana, è emessa da un uomo sistemato dietro un apparente condizionatore, tenuto in funzione con il chewing gum. C’è poi il ragazzo con un giubbotto di pelliccia che viene colpito da un dardo anestetizzante. Nelle prime immagini sembra una tipica scena di filmato naturalistico, dove un animale viene addormentato per poterlo esaminare con calma. Infatti la conduttrice gli apre la bocca ed esamina i denti, concludendo: «Tipici denti sani da finlandese».
Anna Mannucci

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